In preoccupante ritardo la
partenza del traghetto da Ancona. Cause che allora non è stato possibile
accertare concretamente. Ma si sa. Quando si è in procinto di vivere
un’avventura, non ha importanza il perdere
tempo. Dopo la cena il gruppo s’è dato appuntamento a prua, per la
serata musicale.
|
Il cantante aveva qualche difficoltà a tenere il ritmo, questo non ha
impedito a noi ragazze di metterci a
ballare. A notte fonda ci siamo ritirati nelle nostre cabine trascorrendo una
notte tranquilla, con il mare appena increspato e la luna alta nel cielo. Mi
sono addormentata con il proposito di vedere l’alba. Al
risveglio, ricordo di aver sognato nonna Ida, c’erano le nubi e sono riuscita a
vedere solo una breve striscia rosata all’orizzonte. Solo molto tardi abbiamo
raggiunto il ponte, nonostante il vento fastidioso.
Nel pomeriggio abbiamo costeggiato l’isola di Corfù e
verso le 15 siamo arrivati a Igoumenitza. Ad attenderci Lilly, la nostra guida.
Senza perdere tempo abbiamo raggiunto Efira per visitare il Nekromanteion, che significa
"Oracolo della morte", luogo dove i fedeli si recavano per parlare
con i loro antenati morti. Dopo una cerimonia di purificazione e dopo il
sacrificio di pecore, i fedeli scendevano attraverso una serie di meandri e corridoi
sotterranei, lasciavano offerte al loro passaggio, e attraversavano una serie
di cancelli di ferro. Il nekyomanteia avrebbe posto una serie di domande e
preghiere cantando e i celebranti poi avrebbero assistito al fatto che il
sacerdote sarebbe emerso dalla terra e avrebbe cominciato a volare attorno al
tempio utilizzando una gru teatrale. Omero ci racconta che fu Circe a indicare
ad Ulisse come raggiungere l’Ade:
: Ma
quando avrai l’Oceano varcato
|
e dove sono i boschi di Persefone
ed alti pioppi e salici infecondi,
là sui profondi gorghi oceanini
fa’ sostar la tua nave e là discendi
alle dimore squallide dell’Ade.
|
s’incontrano
laggiù, tra le scogliere,
i due
fiumi con impeto sonoro.
Ivi inoltrati, eroe: scava una fossa
che un cùbito sia lunga in ogni lato,
e libagioni vèrsale d’intorno
per tutti i morti, una di latte e miele,
una di dolce vino, un’altra d’acqua,
|
Il tempo
tiranno ci spinge verso Arta, e dopo aver attraversato il ponte sul fiume
Arachthos e posato un rapido sguardo sul Tempio di Apollo, raggiungiamo la
chiesa di Santa Teodora, esempio di architettura bizantina e con affreschi
davvero splendidi. La chiesa è dedicata al protettore di Arta San Giorgio ed è
l'unico edificio sopravvissuto dell'abbazia fondata del XIII secolo dalla
regina del Despotato d'Epiro (Teodora), e funzionava come convento monacale.
Dopo la morte del marito, Teodora stessa divenne una suora ed è lì sepolta.
In tarda serata raggiungiamo l’hotel
Grand Serai a Ioannina, antico palazzo che appartenne ad Aslan Pasha ed
accogliamo con piacere la cena: insalata greca, patate arrosto, tzatziki,
dolce. Mentre Pasquale si prepara per una passeggiata notturna, io mi ritiro in
camera a leggere. Domani la giornata sarà molto lunga.
La colazione, arricchita dallo
yogurt greco, accresce le energie per affrontare la nuova giornata. Lilly ci
accompagna alla scoperta di Ioannina. Sostiamo di fronte ad un vecchio palazzo
appartenuto ad Aslan Pasha e, mentre la guida ci illustra quella parte di
storia, lo sguardo è subito attratto da una costruzione particolare: la moschea
di Aslan Pasha.
Entro con curiosità e per la prima volta in una moschea, ora
divenuta museo. Sopra il portale del tempio la scritta in lingua araba “Uno è
Allah e Maometto è il suo profeta”. Nella moschea, costruita nel 1618, ci sono
mobili, oggetti, abiti tradizionali e tappeti. Affreschi alle pareti e sulla
volta. Molto particolari le calzature e la tessitura dei vestiti. Sotto le
arcate nel cortile, ci sono lapidi con iscrizioni in arabo.
Ripreso il cammino, attraverso strette stradine,
raggiungiamo il palazzo di Alì Pasha, situato nella cittadella alta. La sala di
preghiera è a pianta quadrata e coperta da una cupola semisferica, sostenuta su
pennacchi agli angoli delle pareti. Il sole alto ha alzato la temperatura. Dopo
la visita ci concediamo un caffè greco, impossibile per me da gustare.
Scendiamo attraverso altre stradine per raggiungere un traghetto che ci
condurrà sull’isola To Nisi in mezzo al lago Pamvotida. Una leggenda narra che
la moglie di un mercante, che viaggiava forse troppo spesso a causa del suo
lavoro, ebbe una relazione con il figlio di Ali Pasha, Muhtar Pasha.
Secondo altri, ebbe una relazione con Ali Pasha, che
s’innamorò profondamente di lei. Quando la moglie di Muhtar, figlia di un
importante esponente politico all’interno del territorio, scoprì la relazione,
pretese la morte della giovane donna. La fama della donna all’interno della
comunità greca, dovuta alla sua particolare bellezza e intelligenza, scatenò
una reazione popolare che portò Ali Pasha a temporeggiare, ma alla fine Kyra
Frosini venne arrestata e, insieme ad altre 17 donne accusate di adulterio,
processata e affogata nel lago Pamvotida.
In traghetto raggiungiamo l’isola To Nisì, collocata proprio
nel lago Pamvotis. L’isola è famosissima per i suoi sette monasteri, tre dei
quali dedicati a San Nicola. Questo
perché i primi abitanti dell’isola furono proprio i monaci, che nel XIII secolo
fondarono uno dei più antichi e più importanti monasteri del posto, quello dedicato
a Agios Nikolaos Filanthropinon. L’abbiamo visitato, ma non è stato possibile
scattare fotografie al bellissimo ciclo pittorico e alle sue scene di martirio,
risalenti al XVI secolo, che decora tutto l’interno della chiesetta. Gli
affreschi mi hanno molto emozionato, sopratutto per lo stato di conservazione
perfetto.
To Nisi, isola indolente
gioiello d'arte che stupisce.
In fondo al sentiero,
nella semplicità delle sue vesti,
una cattedrale emerge
appena varcata quella soglia.
mani sapienti, con superbi tratti,
rammentano sacre storie
al cuore del viandante.
Erodoto racconta ciò che gli fu riferito dalle
sacerdotesse, chiamate peleiades ("colombe"): « Due colombe nere
vennero volando da Tebe in Egitto, una in Libia e una a Dodona; quest'ultima si sistemò su una quercia e da
lassù, parlando il linguaggio umano, dichiarò che il luogo di divinazione per
Zeus dovesse essere lì; il popolo di Dodona capì che il messaggio era di natura
divina, e stabilì quindi l'oracolo. La colomba che andò in Libia disse ai
libici di dedicarsi all'oracolo di Amon; anch'esso infatti è sacro a Zeus.
Questa è la storia
raccontata dalle sacerdotesse di Dodona, la più anziana delle quali era
Promeneia, e la più giovane era Nicandra; il resto dei
servi al tempio di Dodona ritenevano questa storia vera. » Erodoto aggiunge: «
La mia opinione riguardo a ciò, tuttavia, è questa.
Se per davvero i Fenici portarono via le sacerdotesse e ne
vendettero una in Libia e una in Ellade, per me il luogo dove quest'ultima fu
venduta, che oggi è conosciuto come Grecia, ma allora era chiamato Pelasgia,
era la Tesprozia.
Rimanendo là come schiava, stabilì un santuario di Zeus
sotto una quercia che ivi cresceva; per questo era ragionevole che, siccome era
stata un ministro del culto nel tempio di Zeus a Tebe, avrebbe dovuto
ricordarsi quello presente nella regione dalla quale proveniva. Dopo ciò, non appena riuscì a padroneggiare
la lingua greca, cominciò ad insegnare le pratiche della divinazione. E diffuse
la notizia che sua sorella era stata venduta in Libia dai medesimi Fenici che
l'avevano portata lì. (...) Io ritengo che queste donne siano state chiamate
"colombe" dai Selli perché parlavano una strana lingua, e tutti
pensarono ad essa come al pianto di un uccello; poi la sacerdotessa cominciò a
comunicare in un linguaggio a loro comprensibile, e questa è la ragione che
spiegherebbe il significato mitico della colomba che utilizzava un linguaggio
umano; quando la donna cominciò a parlare quella lingua a lei sconosciuta (il greco) tutti probabilmente pensarono che
la sua voce fosse come quella di un uccello. Come potrebbe, infatti, una
colomba parlare il linguaggio umano? Il fatto che quest'ultima sarebbe stata
nera, infine, avvalora l'ipotesi che la sacerdotessa era di origine africana,
probabilmente egiziana. » (Erodoto, Storie, libro II, 54-57) (Wikipedia)
Camminando tra le sue stradine incontriamo l’Osios David
Monastery of Latomou. All’interno il mosaico della Teofania. E' in stile
naturalistico e raffigura Cristo in possesso di un testo che dice in greco,
"Ecco il nostro Dio, nel quale abbiamo la speranza e ci rallegriamo per la
nostra salvezza." Sono presenti anche affreschi del periodo bizantino (1160-1170
circa). Abbiamo ammirato scene della Natività, la Presentazione al tempio, la
Madonna della Passione, Cristo sul Monte degli Ulivi, l’ingresso in
Gerusalemme.
Sul viso di molti di noi si legge la stanchezza ma la giornata non è finita. Il pullman ci accompagna in riva al mare dove ammiriamo la quattrocentesca Torre Bianca, che ha un triste passato. Inizialmente era chiamata «Torre dei Leoni» e in seguito, negli anni della dominazione ottomana, prese nomi diversi . Nel XVIII secolo si chiamava «Fortezza di Kalamaria» e durante il XIX secolo, quando veniva utilizzata come prigione per i condannati all'ergastolo, «Torre dei Giannizzeri» e «Kanli-Kule», cioè Torre del Sangue, perché i turchi la usavano come prigione per i morituri e come luogo di tortura, spesso eseguita dai Giannizzeri.
Poco avanti incontriamo il monumento equestre di Alexandros.
Proseguendo sul lungomare raggiungiamo il Museo Archeologico
Nazionale di Salonicco, dove possiamo ammirare manufatti e splendidi gioielli
d’oro. L’oggetto di maggior interesse è l’imponente anfora di Derveni (330-320
a.C.) in bronzo e stagno che serviva per miscelare vino ed acqua.
Successivamente è stata utilizzata come urna cineraria.
Nel tardo pomeriggio raggiungiamo il Museo della civiltà
bizantina, le cui opere spaziano dal periodo paleocristiano all'epoca
post-bizantina (IV-XIX sec.). Qui sono riuniti diversi elementi decorativi di
chiese macedoni e di arte funeraria e di vita quotidiana. Finalmente raggiungiamo l’albergo per la cena
e il meritato riposo.
Di buon mattino ci rimettiamo in viaggio, dopo una frugale
colazione, a causa dell’assalto turco che aveva spazzato via la maggior parte
degli alimenti. Attraversiamo strade immerse nella vegetazione rigogliosa per
raggiungere Anfipoli. Il Leone di Anfipoli è senza dubbio uno dei monumenti più
significativi e meglio conservati del IV secolo a.C., simbolo dell'antica
Macedonia. Il Leone restaurato si trova accanto al vecchio ponte sul fiume Strymonas,
sulla strada regionale Amphipolis-Serraiki Akti.
Suoni, profumi, colori
Nelle terre d’Alexandros.
Esplode la natura
Lasciataci dagli antichi eroi.
Oggi foreste s’accostano
Ad oleandri e ginestre in fiore.
Pura emozione mediterranea.S
Una foto di gruppo sotto la sguardo benevolo del simbolo
macedone non poteva di certo mancare!
Raggiungiamo il Museo archeologico e immediatamente scopro
un curioso oggetto utilizzato nei tempi antichi per indicare la direzione sulle
strade.
Anche qui magnifici manufatti e oggetti d’oro. Senza perdere
tempo raggiungiamo Filippi, teatro della famosa battaglia. Plutarco scrisse che
a Bruto apparve il fantasma di Giulio Cesare, mentre si preparava ad
attraversare i Dardanelli per scontrarsi con l'esercito anti-repubblicano di
Antonio e di Ottaviano e gli disse: “Io sono il tuo cattivo Genio, o Bruto. Mi
vedrai a Filippi”. Il fantasma gli apparve di nuovo a Filippi e, benché non
dicesse nulla, Bruto capì che era il presagio della sua fine. Quando fu per lui
chiara la sconfitta a Filippi, si tolse la vita, suicidandosi con la spada.
Svetonio ci ha svelato che nella stessa battaglia
Ottaviano, sempre grazie ad un sogno, ebbe salva la vita, allontanandosi,
sebbene malato, dalla tenda che fu poi circondata e presa dai suoi nemici. (wikipedia)
Il sito archeologico è immenso. Pasquale, Giovanni e
Nicoletta hanno deciso di raggiungere la sommità della collina per meglio
ammirarlo. Noi, vista la reale possibilità che piova abbiamo preferito
ascoltare Lilly e aggirarci tra le antiche e suggestive pietre.
Tra ciuffi di camomilla profumata
riposano stele, colonne e capitelli.
Antiche vestigia d'ellenica civiltà.
Il pezzo per me più interessante, custodito nel museo,
ritengo fosse una statua il cui volto era molto espressivo e un bassorilievo
raffigurante una donna dalle vesti svolazzanti.
Verso sera raggiungiamo Kavala. Kavala con le case dall'aspetto balcanico aggrappate
alle falde del monte Simvolo e la fortezza che domina il porto.
La città fu fondata verso la fine del 7° secolo a.C. da
coloni provenienti da Thassos, che la chiamarono Neapolis. I Thassians
sfruttarono le ricche miniere d'oro e d'argento del territorio, sopratutto
quelle situate nella montagna Pangaion.
Qui si trovano 20 monasteri ortodossi, di cui 17 greci, uno
russo, uno serbo e uno bulgaro.
Monasteri religiosi di immenso valore artistico spesso edificati sulla
sommità di piccole colline. La storia del Monte Athos ha avuto inizio nel 963
quando Sant’Atanasio istituì il monastero di Grande Lavra, ancora oggi il più
importante.
Superate le difficoltà di navigazione, seguiamo Lilly
in un caratteristico localino dove pranzare e poi ci accingiamo a fare un breve
giro per le vie vicino al porto, piene di negozietti che mi ricordano quelli di
souvenir di tante cittadine italiane. Ritorniamo a Salonicco dove ceniamo. Il
mattino dopo ci viene riservata una sala solo per noi, dove fare un’abbondante
colazione. E poi via alla volta di Pella. Questa cittadina fu fondata da
Archelao I, divenne la capitale del Regno di Macedonia e fu sede anche
dell'impero di Filippo II e Alessandro Magno. Nel 168 a.C., dopo la sconfitta
dei Macedoni a opera dei Romani a Pidna, la città fu saccheggiata e fu privata
della maggior parte dei suoi tesori, accumulati grazie alle grandi imprese di
Alessandro e Filippo II. Euripide si ritirò a Pella, alla corte di Archelao,
dove si dice sia morto, sbranato dai cani. Il piccolo museo racchiude in sé
manufatti di gran pregio, tra i quali statuette, porcellane, gioielli, e
mosaici.
A questo
punto è stato necessario un altro spostamento in pullman, perché Lilly aveva in
serbo una nuova sorpresa per noi: visitare il Byzantine Museum di Veroia.
Nell’antico
mulino restaurato è possibile ammirare la mostra dal titolo 'Veroia, parte
dell'impero di Bisanzio'. Si tratta di una particolare e bella collezione di
icone portatili, alcune sono a doppia faccia, pitture murali,
pavimenti a mosaico che provengono dalla chiesa di Agios Patapios in Veroia,
manoscritti e prime opere a stampa, ceramiche, monete e sculture in legno. Una vera
chicca per gli amanti del genere.
A Veria o Veroia, ai piedi del Monte Vermio, sono stati identificati alcuni insediamenti
di epoca neolitica. Il museo archeologico ospita i reperti del sito neolitico
di Nea Nikomedia e dei tumuli della necropoli di Vergina dell'età del ferro.
Sono presenti anche sculture e ritratti provenienti dal
territorio e l'iscrizione greca nota come "legge del ginnasio", che
riporta le regole per la conduzione del ginnasio ellenistico.
Prima di tornare in Italia non possiamo che
raggiungere Vergina che fu un tempo capitale della Macedonia. Dopo una sosta
per il pranzo raggiungiamo il sito archeologico che comprende le tombe di
Filippo II e AlessandroIV.
Entrare in questo museo, che racchiude come in uno scrigno
le sepolture, è magico. Il buio crea un’atmosfera particolare e ci aiuta a
comprendere il pensiero che sta alla base di queste tombe. Condivido la scelta
di tenere chiuse le camere mortuarie. Il
corredo funerario esposto è davvero splendido. E rimarrà sempre vivo nel
ricordo.
Ho lasciato questo luogo con un senso già di nostalgia.
Ma
era davvero giunto il tempo di raggiungere Igoumenitsa per imbarcarci sulla
Cruise Olympia, che ci avrebbe riportati in Italia.
Nessun commento:
Posta un commento